Nei prossimi cinque anni l’industria del turismo offrirà circa 300mila posti di lavoro, ma quasi un quarto di questi (74mila posizioni) resterà scoperto secondo una stima  dell’ultimo rapporto Excelsior Unioncamere  che ha fatto luce su quello che è un vero e proprio paradosso. L'offerta di impiego nel travel sta infatti crescendo più che in altri settori economici, ma il fabbisogno non riesce a essere soddisfatto.   Il gap è relativo principalmente alle competenze, dalle più classiche che si possono apprendere negli istituti di istruzione specializzati alle ‘nuove’ relative al green e al digital; e fa sì che ci sia una distanza via via sempre più ampia tra quello che cercano le aziende dell'industria dei viaggi e quello che i candidati hanno da offrire in termini di skill. Il risultato è che il lavoro c’è - e nel 2022 la domanda è aumentata del 15,4% a fronte di un aumento generale del 12,2% negli altri ambiti economici -, ma non ci sono i lavoratori, o meglio le figure adatte a ricoprire i ruoli vacanti.

L’anno scorso si è registrato un aumento esponenziale del mismatch. Se, infatti, nel 2019 era difficile reperire il 24% dei profili che venivano ricercati, nel 2022 questa difficoltà ha interessato oltre il 40% dei profili ricercati, con problemi nella programmazione dei servizi del comparto turistico.

Contrariamente a quanto si possa pensare, il divario non riguarda solo le figure di alto profilo, ma anche quelle cosiddette ‘meno skillate’. Si rileva il fenomeno nelle figure qualificate, come i manager, nel cui caso il gap è salito di 50 punti percentuali, nonostante un aumento della domanda. Questo vuol dire che tali lavoratori sono andati a lavorare in altri settori. La difficoltà nel reperimento delle risorse si riscontra anche per i tecnici del marketing (+43,6 punti percentuali), i cuochi d'albergo (+28,4%), i camerieri (+27,2%), nonché per il personale non qualificato addetto alla ristorazione (+13,3%) e per il personale non qualificato addetto ai servizi pulizia (+37,8%)". Per alcune di queste figure a pesare sul reperimento delle risorse  c’è anche un problema legato al declino demografico, che non riesce a garantire il ricambio generazionale.

I processi di recruiting si fanno sempre più costosi e lunghi, con ripercussioni su costi e operatività. La ricerca impegna ora più di tre mesi per alcuni profili, in alcuni casi addirittura i tempi si allungano e vanno a raggiungere l'anno, con conseguenze pesanti sull'erogazione dei servizi e sui bilanci delle imprese. Così i recruiter si trovano spesso a prendere i candidati e a formarli in azienda, con costi notevoli, oppure cercano di attingere dall'area territoriale in cui si trovano e intervengono anche sulla leva retributiva proponendo stipendi più alti.

(Per maggiori informazioni: www.unioncamere.gov.it)