Secondo il Rapporto dell'ISTAT 2021 la crisi causata dalla pandemia ha determinato nel 2020 una caduta complessiva del monte retributivo del 7,6% (rispetto a +1,6% nel 2019). L’intensità del calo è stata massima nel secondo trimestre, ma all’inizio di quest’anno, grazie alla risalita dell’utilizzo dell’input di lavoro, si è osservata una lieve crescita tendenziale (+0,7%). Nel corso del 2020 sono stati rinnovati solo 8 contratti collettivi nazionali a fronte dei 49 scaduti (che corrispondono all’80,2% del monte retributivo totale) con una crescita delle retribuzioni contrattuali orarie dello 0,6%, in rallentamento rispetto all’anno precedente. Dopo le inevitabili ricadute sui consumi, già da quest’anno le previsioni Istat stimano una robusta ripresa dell’attività, dei consumi e degli investimenti, spinti anche dall’avvio del Pnrr: la crescita del Pil dovrebbe essere del 4,7% e proseguire, con un ritmo di poco inferiore, l’anno successivo.
Nel settore del turismo si registrano i cali maggiori dei capitoli di spesa degli italiani e sui quali le misure di contenimento hanno rappresentato un’ ulteriore aggravante: nei servizi turistico-ricettivi e di ristorazione il  calo è pari al -38,9% e nella ricreazione, spettacoli e cultura  a -26,4%. Molto colpiti anche i trasporti (-24,6%) e abbigliamento e calzature (-23,3%).


Le stime preliminari del primo trimestre 2021 indicano un calo ulteriore del 3,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In generale, poi, nel 2020, il calo della spesa per consumi riguarda soprattutto le famiglie più abbienti (-9%), che destinano più risorse proprio ai capitoli particolarmente penalizzati dalla crisi come i viaggi e gli svaghi. Le famiglie meno abbienti, le cui spese sono molto più concentrate su consumi essenziali quali abitazione e alimentari, registrano, invece, una diminuzione complessiva del 2,7%.
Riguardo poi il sistema delle imprese, l’Istat ha certificato che la crisi ha colpito soprattutto le imprese più piccole: tra le micro (3-9 addetti), circa la metà appare, infatti, a rischio strutturale (51,7%) mentre un quarto rientra tra le fragili, e tra le piccole (10-49 addetti) sia le fragili che quelle a rischio strutturale sono intorno al 20%. Nelle medie e grandi imprese si rileva invece una maggiore incidenza di resistenti (rispettivamente 20,2 e 8,2%) e solide (65,4 e 84,7%).
A livello settoriale sono a rischio strutturale circa il 60% delle imprese dei servizi alla persona e quasi la metà (48%) di quelle dei servizi di mercato, che in parte gravitano nella filiera turistico-ricettiva. L’Istat ha poi evidenziato che durante la crisi è cresciuta l’offerta di servizi digitali dedicati alla clientela (newsletter, tutorial online, webinar, corsi a distanza, consulenze via web e servizi simili), l’incremento complessivo indotto dalla crisi è stato del 58,3% in media, e pari al 64% tra le microimprese, e nel 2021 circa il 28% delle imprese prevede di utilizzare questo strumento. Durante il 2021 si prevede che circa il 13% delle grandi imprese effettuerà vendite su piattaforma mentre le quote sono inferiori nelle piccole dimensioni.
Infine secondo una scala di quattro gradi di rischio (alto, medio-alto, medio-basso, basso), le imprese potenzialmente resilienti e proattive a rischio alto e medio-alto sono diffuse su tutto il territorio nazionale. Per le prime, un peso maggiore rispetto alla media nazionale si registra in Piemonte, Lombardia e nella provincia autonoma di Bolzano, in Toscana, Umbria, Lazio e in Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna, invece l’incidenza delle proattive a rischio è più alta nel Mezzogiorno, soprattutto in Basilicata, Calabria e Sardegna e nel Friuli Venezia Giulia.

(Per maggiori informazioni: www.istat.it)