In allegato materiale distribuito in occasione della conferenza stampa tenutasi oggi in UCINA al fine di illustrare i dettagli dei provvedimenti dedicati al settore nautico, inseriti nel decreto Sviluppo approvato dal Consiglio dei Ministri.
Comunicato stampa provvedimenti
Discorso del Presidente alle Assise di Bergamo
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UCINA Confindustria Nautica: nel DL Sviluppo una politica PER Il comparto
L’industria nautica italiana si prepara al rilancio grazie alle norme di semplificazione varate dal Governo su richiesta dell’associazione di categoria, che finalmente trasmettono serenità a mercati e utenti.
“Adesso siano emanati al più presto anche i provvedimenti amministrativi attesi da lungo tempo”, commenta il presidente Albertoni.
La nautica italiana accoglie con soddisfazione le misure a favore del comparto contenute nel Decreto Sviluppo varato quest’oggi dal Consiglio dei Ministri, ma prima ancora esprime apprezzamento per questo nuovo, importante e inequivocabile indirizzo politico.
Si tratta di un risultato frutto di un sistematico e costruttivo confronto di UCINA Confindustria Nautica con i vari Ministeri competenti: il dicastero delle Infrastrutture e Trasporti, innanzitutto, quello dell’Economia e delle Finanze, ma anche Semplificazione normativa e Turismo.
“Avere una barca – piccolissima, media o grande che sia – non deve più essere una colpa, né una fatica improba, esattamente come accade in tutti i paesi maggiormente sviluppati” - commenta a caldo il presidente di UCINA, Anton Francesco Albertoni – ben vengano dunque un taglio alla burocrazia e le semplificazioni per creare posti barca a basso costo.
“Accogliendo le valutazioni che hanno dimostrato l’impatto economico e occupazionale per i territori costieri, il Governo ha finalmente tracciato una politica per la nautica dopo due anni difficilissimi” – aggiunge Albertoni - “ora ci aspettiamo che il segnale sia subito raccolto anche dai vari settori dell’amministrazione chiamati a completare quei provvedimenti che il comparto attende da molto tempo”.
Fra le misure varate assumono un particolare rilievo le norme rivolte al rilancio della media e piccola nautica, in particolare la destinazione al diporto delle aree inutilizzate dei bacini portuali esistenti - per ricavare 40.000 posti barca nel rispetto dell’ambiente e 10.000 nuovi posti di lavoro nei servizi – e l’eliminazione della licenza edilizia per i pontili galleggianti - un’inutile duplicazione della concessione demaniale che fino a oggi ha frenato lo sviluppo di strutture a basso impatto e ha privato l’erario dei corrispondenti oneri demaniali.
Il rinvio a una regolamentazione omogenea in tema di concessioni portuali turistiche, da emanarsi ad opera della Conferenza Stato-Regioni, consentirà poi di dare un assetto coerente a tutta la materia.
Ci sono poi le iniziative legate alle navi da diporto (> 24 m), che pongono rimedio a una grave lacuna del Codice della Nautica che non considerava le grandi unità di cui l’Italia è il primo produttore mondiale. La semplificazione della loro gestione amministrativa, lasciando inalterate le discipline tecniche di sicurezza e fiscali, consentirà di far tornare nel nostro Paese i grandi yacht, attraendo l’indotto di centinaia di milioni di euro l’anno generato da gestione e manutenzione.
Infine la semplificazione delle autorizzazioni per i trasporti eccezionali, che per i cantieri sono la regola, renderà i costi di movimentazione delle industrie nautiche italiane equiparabili a quelli delle aziende francesi e tedesche.
Tutte queste misure portate avanti dal Ministro Matteoli e condivise dal Ministro Tremonti, senza alcun aggravio per lo Stato, produrranno un importante gettito per l’erario.
“La nautica è fiera di poter contribuire con il proprio sviluppo anche al risanamento dei conti del Paese”, ha concluso Albertoni. Ora avanti tutta con i provvedimenti amministrativi per i quali UCINA Confindustria Nautica si batte da tempo e che sono ancora in sospeso: circolare su noleggio e locazione, riconoscimento dei titoli marittimi italiani a livello europeo, nuovo esame nazionale della patente nautica, registro elettronico per le immatricolazioni, intesa Stato-Regioni sulle concessioni demaniali.
ASSISE GENERALE 2011
Intervento Anton F. Albertoni
Presidente UCINA Confindustria Nautica
Care colleghe e cari colleghi imprenditori,
è un onore essere qui, ma soprattutto una grande opportunità per far sentire forte la voce dell’industria nautica, per questo ringrazio la nostra presidente Emma Marcegaglia e il presidente di Piccola Industria Vincenzo Boccia.
Siamo tutti qui per portare le ragioni del fare impresa al centro dell’agenda del Paese.
Vorrei essere estremamente chiaro e diretto partendo dall’architrave: il Documento di economia e Finanza.
È del tutto condivisibile la centralità della relazione stabilità-crescita contenuta nel DEF 2011.
Ma è appunto un binomio, che al contenimento dei conti e della spesa deve abbinare lo sviluppo. Non c’è l’una senza l’altra.
Il Governatore Draghi ha recentemente ricordato una crescita italiana il cui ritmo “da vari anni è insoddisfacente e si riflette in redditi stagnanti, problemi occupazionali, maggiori difficoltà a gestire la finanza pubblica”.
È dunque necessario porre proprio la crescita economica come punto centrale dell’auspicata riforma fiscale, per consentire un ampliamento delle basi imponibili e quindi un maggiore gettito, piuttosto che l’incremento del prelievo.
Di contro la semplice rimodulazione del gettito tra tipi di imposta appare dall’esito oscuro.
Per questo dobbiamo avvertire tutti l'urgenza di concentrare le risorse – e non solo quelle economiche - su poche e chiare questioni e su altrettanti selezionati comparti produttivi che possano trascinare il PIL di almeno due punti percentuali all’anno, con beneficio generale.
La nautica ritiene di essere fra questi ultimi.
È la quinta voce dell’export italiano, è una delle grandi eccellenze del made in Italy, sia per la qualità della produzione, sia perché la barca rappresenta il contenitore-vetrina per altri comparti, dall’illuminotecnica al tessile, dalla pelletteria all’arredo.
Senza contare l’indotto occupazionale del turismo nautico, che secondo il Censis genera un posto di lavoro ogni quattro barche.
Non a caso nel DL Sviluppo varato ieri dal Governo abbiamo avuto uno spazio di rilievo. Vi hanno trovato posto alcuni interventi di semplificazione e snellimento burocratico, tutti a costi zero, tutti capaci di generare indotto, occupazione, ma soprattutto importanti introiti per l’erario.
Tuttavia anche – anzi - proprio all’indomani dell’emanazione di norme che attendevamo da tempo dobbiamo dire che questa è la condizione necessaria, ma non sufficiente.
Il nostro comparto sperimenta da vicino la concorrenza francese, dove una pubblica amministrazione efficiente e attenta si dimostra capace di essere vicino alle aziende.
La competizione in questo caso non la fanno le sole imprese, non basta il prodotto, è il sistema paese a vincere.
Questa è l’anomalia italiana, che diventa macroscopica se concentriamo l’attenzione sull’amministrazione finanziaria.
Un solo esempio. Di fronte alle lacune normative e ai dubbi interpretativi della normativa fiscale, per esempio in tema di noleggio degli yacht, UCINA ha presentato un anno fa una richiesta di parere giuridico all’Agenzia delle Entrate.
Mentre la seconda stagione è già iniziata, stiamo ancora aspettando una risposta. Oltre le Alpi hanno posto i quesiti a fine dicembre 2010 e a febbraio scorso hanno ottenuto una circolare.
In queste condizioni è impossibile intraprendere!
E non ci sarebbe altro da aggiungere, se non fosse che il 10% del valore di queste unità viene speso ogni anno sul territorio per la loro gestione e manutenzione e che nel Mediterraneo opera il 70% della flotta a noleggio del mondo.
Noi ne produciamo la metà, si abbiamo il 50% del portafoglio ordini mondiale, ma ogni anno le vediamo dileguarsi per arricchire le coste di Francia, Spagna, Croazia, Montenegro, Turchia, Tunisia.
Secondo Federagenti ciò ha causato una perdita nell’indotto di poco inferiore a un miliardo di euro solo lo scorso anno.
Questa mancanza di attenzione è inammissibile.
Nessuno di noi potrebbe permettersela nella sua azienda. La pubblica amministrazione, in una competizione globale che è anche fra sistemi statali, deve essere all’altezza della sfida.
Poi c’è la politica di aggressione in chiave anti evasione, che ci vede vittime dell’equazione barca uguale evasore. Parliamoci chiaro l’evasione è un problema serio del Paese, ma le politiche di contrasto devono essere affilate.
È da considerarsi normale – vi chiedo - che una pur legittima indagine su un singolo yacht venga intitolata dalla Guardia di Finanza “no boat, no crime” e come tale data in pasto alla stampa, creando ripercussioni sulla stessa produzione industriale?
È accaduto anche questo e il giorno dopo, ovviamente, quella frase è diventata uno slogan pubblicato sul Financial Times con una eco mondiale.
Dopo un anno la Commissione tributaria di Genova ha accolto uno dei primi ricorsi avverso il sequestro di una nave da diporto adibita a noleggio.
La decisione è stata fondata sui medesimi principi posti alla base delle nostre - vane - richieste di chiarimenti. Chi pagherà i danni causati dalla interpretazione incerta e cervellotica delle norme?
Chi saprà porre un freno all’ abuso del ricorso all’abuso del diritto – se mi consentite il giro di parole - con cui l’amministrazione può arrivare a distorcere persino le norme di legge?
Rimaniamo in tema di accertamento, stavolta dei redditi personali . Abbiamo bisogno di uno strumento trasparente che – per quel che ci riguarda - deve superare gli attuali limiti del Redditometro il quale esprime un disvalore intrinseco per alcuni beni, la barca su tutti.
Oggi nel nostro settore siamo all’assurdo di vendere i nostri prodotti ai loro dottori commercialisti e non ai clienti! Il risultato è ancora una volta la compressione - se non la distorsione – del mercato interno.
Esattamente il contrario di quanto avvenuto con la nascita di un leasing nautico italiano equiparabile a quello francese che, nel quinquennio 2005-2008, ha quadruplicato i nostri addetti
e consentito allo Stato di incassare 800 milioni di IVA altrimenti incamerati dalla Francia.
Questo è il tema centrale. Il fisco che vogliamo è sì rigoroso ed equo, ma anche capace di accompagnare la crescita di quei settori che possono produrre un vantaggio generale per l’economia e per il Paese.
E per capire l’anomalia italiana basta vedere cosa accade nei paesi nostri concorrenti.
La Spagna ha appena varato un registro navale speciale alle Isole Canarie, che presenta vantaggi fiscali.
Il governo di Malta ha lanciato un programma per la riconversione dei bacini commerciali attraverso la destinazione alla nautica, affidando agli operatori economici la gestione di aree non più utilizzate in cambio degli investimenti necessari alla loro riqualificazione.
Il paradosso – per noi Italiani - è che un documento del nostro ICE indica questa come una delle migliori opportunità di investimento in quel paese.
Ma è ancora una volta la vicinissima Francia a mettere in campo un micidiale cocktail fatto di normative snelle, fisco amico e infrastrutture efficienti.
E l’Italia? Noi abbiamo adottato un aumento fino a 8 volte dei canoni demaniali per i porti – questione ben diversa dagli stabilimenti balneari , lasciatemelo dire – aumento che si applica anche alle concessioni/contratto esistenti e che sta facendo saltare i business plan delle aziende, innescando un effetto domino che ancora una volta arriva fino alla produzione di imbarcazioni.
Già nel dicembre 2008 la Corte dei Conti, evidenziava quanto l’aumento fosse sproporzionato rispetto all’ipotizzato vantaggio per l’erario, sia in termini di contenzioso, sia in termini di risultati economici. Ma è rimasta inascoltata.
Infine c’è il federalismo fiscale. L’art. 2 della legge delega indica “l’individuazione di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate”.
La rete infrastrutturale dei porti turistici italiana è storicamente deficitaria, specialmente nelle regioni del Meridione, ma a differenza di porti commerciali, autostrade e ferrovie, noi non abbiamo un problema di finanziamenti, che sono da sempre privati.
Ancora una volta il collo di bottiglia è nella burocrazia.
Inoltre la devoluzione alle Regioni del demanio statale – avviata nella totale assenza di un quadro normativo generale di riferimento - rischia di rivelarsi un disastro.
Per la nautica queste aree sono strettamente connesse all’attività produttiva e per questo non si può eludere la necessità di rivedere il Titolo V della Costituzione, nel senso di riallocare alcune competenze legislative tra Stato e Regioni.
Intanto la nuova competenza è stata interpretata con due tentativi di sovrattassa sugli oneri concessori presentati nelle leggi finanziarie di Sardegna e Sicilia, per ora cassati grazie all’azione di UCINA. Se questo è il federalismo fiscale, allora: no, grazie.
In conclusione voglio fare una riflessione più generale. Oggi siamo a un punto di caduta tale che serve un salto culturale che non è solo del Governo, del Parlamento, dell’Amministrazione pubblica, che pure hanno nei nostri confronti gravi ritardi. È il Paese che deve compierlo.
Secondo l’ISTAT ci sono 4.400.000 persone in cerca di occupazione. Ebbene il “Piano per la nautica” presentato al Governo nel 2009 è capace di attrarre 3 miliardi di investimenti privati e da solo può di produrre posti di lavoro per il 4-5% di questi disoccupati.
Allora non vogliamo più sentir sciocchezze come l’additare in maniera negativa un prodotto del made in Italy - sia pure di alta gamma - soltanto perché bene di lusso.
Tutti - politica, istituzioni stampa, sindacati, opinione pubblica - dovremmo guardare non a chi compra questi beni, ma a chi li produce.
La cultura d’impresa deve essere il patrimonio condiviso del Paese.
Dobbiamo guardare al lavoro. Ai lavoratori – che i nostri imprenditori hanno fatto ogni sforzo possibile per cercare di conservare al riparo della crisi – ed è curioso che a difenderli davvero siano rimasti, spesso soli, gli imprenditori stessi.
Bergamo, 7 maggio 2011