Il turismo montano sta cambiando, o meglio, si è già trasformato con un radicale capovolgimento di scenari operativi. Se prima il prodotto-neve, e con esso la stagione invernale, rappresentava la colonna portante dell’offerta turistica di località alpine e appenniniche, ora, con lo stravolgimento climatico e la penuria di neve, è l’estate a essere diventata un asset strategico per operatori e albergatori, con una domanda in costante crescita.


Una vera e propria “rivoluzione copernicana” resa tangibile dal cambio di equilibri ben fotografato dal recente report “Il Turismo della montagna” redatto a fine 2023 da Th-Cdp e Sio (Scuola italiana di ospitalità) che ha rilevato come rispetto al rapporto di quote-mercato al 70% per la stagione bianca e 30% per la stagione estiva di appena 10 anni fa, subito dopo la pandemia questo rapporto si è ribaltato con un peso specifico della stagione invernale ridimensionato al 55% e uno share della montagna estiva al 45%.

Valori pressoché equiparati che hanno indotto un radicale cambio di registro nell’allestimento dell’offerta, al quale si stanno adeguando gran parte dei 2,1 milioni di micro e piccole imprese legate al turismo montano, nonché i 5,2 milioni di addetti nell’hôtellerie, nella ristorazione, nell’impiantistica e nel mondo dei servizi al turista. A voler sintetizzare con delle simbologie possiamo dire che nel giro di 20 anni si è passati dal fenomeno della “settimana bianca” – prodotto di punta per t.o. e adv – al fenomeno dell’outdoor, al turismo lento e del benessere, che impera da maggio a settembre con soggiorni all’insegna dello sport, dell’escursionismo accessibile, dell’enogastronomia.

Un passaggio obbligato perché il turismo montano, come giro d’affari, vale oltre 16 miliardi di euro (di cui 10 miliardi solo per il prodotto-neve) e in termini occupazionali rappresenta il 14% della forza-lavoro nazionale. Ma è sul volume delle presenze che si comprende bene quanto sia diventata importante la montagna estiva perché nel 2022, sono stati certificati 71 milioni di pernottamenti nel periodo da maggio a ottobre e solo 32 milioni di pernottamenti in inverno.

Oltre all’inverno e all’estate c’è la cosiddetta “terza stagione” – ovvero da ottobre a dicembre e da aprile a maggio – che potrebbe diventare un altro asset per il comparto turistico-ricettivo delle Alpi e degli Appennini, assicurando agli operatori un insperato allungamento della stagionalità, risolvendo in parte anche il fenomeno dell’overtourism del periodo natalizio e di Ferragosto.

(Per maggiori informazioni: https://sio.edu.eu/; www.cdp.it)